L'ha realizzato una startup italiana, Empatica. E' in grado di rilevare la presenza del coronavirus anche quando non ci sono sintomi (sia per gli asintomatici, ovvero coloro che non li manifesteranno mai, che per i presintomatici, cioè coloro che li svilupperanno presto)
Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla battaglia contro il coronavirus Sars Cov2 è che vincere è una questione di velocità. Da un lato c’è la corsa per trovare il vaccino e dall'altro ci sono tutte le misure che provano a rallentare la diffusione del contagio. Prendete la app Immuni, cosa fa in fondo? Ti avvisa subito del fatto che un tuo contatto delle due settimane precedenti ha appena scoperto di essere positivo, in modo che tu possa isolarti e fare a tua volta il tampone per rallentare il contagio, perché solo se il contagio rallenta il sistema sanitario gestisce la malattia con ottime possibilità di guarire i pazienti. Questa corsa si ferma davanti al problema degli asintomatici, cioè di coloro che hanno contratto il virus ma non manifestano alcun sintomo quindi non ci pensano proprio a fare un tampone e continuano la vita di prima contagiando tutti quelli con cui entrano in contatto.
Sembrava un problema irrisolvibile e invece forse no. Una startup italiana, Empatica, ha realizzato una specie di braccialetto in grado di rilevare la presenza del covid19 anche quando non ci sono sintomi (sia per gli asintomatici, ovvero coloro che non li manifesteranno mai; che per i presintomatici, cioè coloro che li svilupperanno presto). In realtà si tratta di una ex startup italiana, fondata e ancora oggi guidata da Matteo Lai (37 anni) che è diventata una società americana qualche anno fa, spin-off del prestigiosissimo MIT di Boston con cui ha sviluppato un braccialetto, venduto in tutto il mondo alle strutture ospedaliere, che serve a monitorare l’epilessia e altre patologie simile.
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venerdì 19 giugno 2020
domenica 14 giugno 2020
Coronavirus, con le mascherine evitati in Italia 78.000 contagi
In 5 settimane. Sono il mezzo più efficace, studio firmato da un Nobel
L'uso delle mascherine in Italia avrebbe evitato più di 78.000 contagi tra il 6 aprile e il 9 maggio: è quanto emerge da uno studio americano coordinato dal premio Nobel per la chimica Mario J. Molina dell'Università della California a San Diego. La ricerca, pubblicata sulla rivista dell'accademia americana delle scienze (Pnas), mette a confronto le strategie di contenimento del nuovo coronavirus attuate nel nostro Paese con quelle di New York e Wuhan, dimostrando che l'obbligo della mascherina nei luoghi pubblici è lo strumento più efficace per fermare la diffusione di Covid-19.
"La trasmissione aerea del virus è molto aggressiva e rappresenta la via principale di diffusione della malattia", scrivono gli autori dello studio. "La nostra analisi rivela che l'obbligo di schermare la faccia è determinante nel modellare la curva della pandemia nei tre epicentri". Il solo utilizzo delle mascherine "ha ridotto in maniera significativa il numero di infezioni di oltre 78.000 unità in Italia tra il 6 aprile e il 9 maggio, e di oltre 66.000 nella città di New York tra il 17 aprile e il 9 maggio. Le altre misure di mitigazione, come il distanziamento sociale implementato negli Stati Uniti, da sole non sono sufficienti a proteggere la popolazione".
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martedì 9 giugno 2020
Dieta dei legumi, perdere 3 kg in un mese: il menù da seguire senza sforzi
L'estate è arrivata ma ancora abbiamo un po' di tempo per metterci in forma e superare la prova costume. Se volete perdere solo un paio di chili, la dieta dei legumi è quella che potrebbe fare per voi. Si tratta di una dieta da 1400 calorie al giorno che prevede tre pasti al giorno. Ricca di fibre e con un buon equilibrio tra proteine e carboidrati che verranno sostituiti in buona parte da piselli, lenticchie e fagioli. Ecco un menù settimanale d'esempio. Il nostro consiglio però resta sempre lo stesso. Se volete intraprendere una dieta e rimettervi in forma, non affidatevi al fai da te, ma bensì rivolgetevi ad un esperto che possa creare il piano alimentare adatto alle vostre esigenze.
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Dimagrire con la frutta di primavera: i frutti che ti faranno tornare in forma
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giovedì 4 giugno 2020
Covid: mai riusare le mascherine chirurgiche
L'Istituto Superiore di Sanità in un'audizione in parlamento avverte sul pericolo di utilizzare più volte questi dispositivi. Poi spiega: "Altamente improbabile il contagio dal cibo e dalle confezioni degli alimenti"
Le mascherine chirurgiche non sono riutilizzabili. La loro efficacia dura dalle due alle sei ore massimo a seconda dei casi. Non esistono allo stato attuali sistemi per igienizzarle e poterle indossare nuovamente. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, in audizione alla Commissione d’Inchiesta parlamentare sulle Eco Mafie, torna sulla questione del riutilizzo che in molti erroneamente fanno delle mascherine chirurgiche. Continuare a utilizzarle è però fondamentale. Una recente analisi di decine di studi sull’argomento ha confermato che bloccano la diffusione del coronavirus in oltre l’80% dei casi.
Mascherine chirurgiche: preferire quelle in tessuto lavabile che hanno un minore impatto sull’ambiente
Esistono, sempre secondo Brusaferro, altre mascherine lavabili che hanno la stessa efficacia e possono essere riutilizzate. Secondo il presidente dell’Iss dovrebbero essere queste a essere preferite per evitare l’impatto sui rifiuti e quindi sull’ambiente.
Mascherine chirurgiche: trovate tracce di virus per una settimana
Riutilizzare le mascherine chirurgiche potrebbe quindi essere pericoloso. Un recente studio ha dimostrato che il coronavirus può resistere su una mascherina usata fino a sette giorni. Attenzione, la ricerca è stata fatta in laboratorio, in condizioni protette, che sono diverse da quelle che viviamo tutti i giorni. Ad annunciarlo è stata Rosa Draisci, del Centro nazionale delle sostanze chimiche dell’Istituto Superiore di Sanità. “In studi di laboratorio, non nella realtà, nella parte interna della mascherina si rilevano parti di virus dopo 7 giorni – precisa l’esperta -. Si tratta di un’attività sperimentale fatta in laboratorio, con la deposizione sulla mascherina di soluzione contenente il virus”.
Nella realtà il coronavirus muore prima. I laboratori infatti sono “contesti molto protetti, non immediatamente assimilabili alla normalità”. Tutto è infatti messo al riparo dalla luce, dal sole e da altri fattori che influiscono sulla sopravvivenza del virus.
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mercoledì 3 giugno 2020
Un farmaco contro il Covid adesso è più vicino
È un anticorpo monoclonale progettato per impedire l'ingresso del virus nelle cellule umane e quindi utilizzabile anche in prevenzione. Somministrato la scorsa settimana a pazienti americani, potrebbe essere disponibile in breve tempo. E l'Oms riprende la sperimentazione sull'idrossiclorochina
Entro la fine di giugno potrebbe arrivare il primo farmaco al mondo capace di combattere il virus che causa il Covid-19. Si tratta di un medicinale sperimentale, denominato LY-CoV555, che è stato somministrato nei giorni scorsi a un gruppo di pazienti ospedalizzati nell'ambito del primo studio mai effettuato su un potenziale trattamento anticorpale contro il virus SARS-CoV-2. Tra i centri medici coinvolti, alcuni dei più importanti ospedali statunitensi: la NYU Grossman School of Medicine e il Cedars-Sinai a Los Angeles.
I risultati sono previsti in tempi molto stretti, entro la fine del mese, così come rapido (soltanto tre mesi) è stato l'iter che ha portato i ricercatori dell'azienda farmaceutica Lilly a sviluppare l'anticorpo. Quest'ultimo era stato identificato dal Centro di ricerca sui vaccini dell'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (Niaid), quello diretto da Anthony Fauci, in collaborazione con AbCellera, su un campione di sangue prelevato da uno dei primi pazienti americani guariti dal Covid-19.
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Entro la fine di giugno potrebbe arrivare il primo farmaco al mondo capace di combattere il virus che causa il Covid-19. Si tratta di un medicinale sperimentale, denominato LY-CoV555, che è stato somministrato nei giorni scorsi a un gruppo di pazienti ospedalizzati nell'ambito del primo studio mai effettuato su un potenziale trattamento anticorpale contro il virus SARS-CoV-2. Tra i centri medici coinvolti, alcuni dei più importanti ospedali statunitensi: la NYU Grossman School of Medicine e il Cedars-Sinai a Los Angeles.
I risultati sono previsti in tempi molto stretti, entro la fine del mese, così come rapido (soltanto tre mesi) è stato l'iter che ha portato i ricercatori dell'azienda farmaceutica Lilly a sviluppare l'anticorpo. Quest'ultimo era stato identificato dal Centro di ricerca sui vaccini dell'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (Niaid), quello diretto da Anthony Fauci, in collaborazione con AbCellera, su un campione di sangue prelevato da uno dei primi pazienti americani guariti dal Covid-19.
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Coronavirus a Brescia, l’ex deputato Mario Sberna: «Io salvo grazie all’ossigeno tolto a un 80enne»
lunedì 1 giugno 2020
Zangrillo: «Clinicamente il coronavirus non esiste più». Locatelli: «Assoluto sconcerto per queste parole»
Lo ha detto il direttore terapia intensiva del San Raffaele di Milano dal punto di vista clinico del virus. Concorda il direttore della clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova
“Clinicamente il nuovo coronavirus non esiste più”. Così Alberto Zangrillo, direttore terapia intensiva del San Raffaele di Milano, a '1/2 ora in più'. “Circa un mese fa sentivamo epidemiologi temere a fine mese-inizio giugno una nuova ondata e chissà quanti posti di terapia intensiva da occupare. In realtà il virus dal punto di vista clinico non esiste più. Questo lo dice l'università Vita e Salute San Raffaele, lo dice uno studio del direttore dell'Istituto di virologia Clementi, lo dice il professor Silvestri della Emory University di Atlanta”.
Secondo il medico del San Raffaele, “i tamponi eseguiti negli ultimi 10 giorni mostrano una carica virale dal punto di vista quantitativo assolutamente infinitesimale rispetto a quelli eseguiti su pazienti di un mese/due mesi fa. Lo dico consapevole del dramma che hanno vissuto i pazienti che non ce l'hanno fatta - aggiunge Zangrillo - non si può continuare a portare l'attenzione, anche in modo ridicolo, dando la parola non ai clinici, non ai virologi veri, cioè a che si auto-proclamano professori: il virus dal punto di vista clinico non esiste più”. Lucia Annunziata, la conduttrice della trasmissione, ha replicato: “E' una frase molto forte quella che lei dice professore”. E il clinico di rimando: “La firmo”.
Locatelli: ”Assoluto sconcerto per le parole di Zangrillo”“Non posso che esprimere grande sorpresa e assoluto sconcerto per le dichiarazioni rese dal Professor Zangrillo con frasi quali il 'virus clinicamente non esiste più' e che 'Terrorizzare il Paese è qualcosa di cui qualcuno si deve prendere la responsabilità'”. Lo afferma il presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del comitato tecnico scientifico Franco Locatelli. “Basta guardare al numero di nuovi casi confermati ogni giorno per avere dimostrazione della persistente circolazione in Italia del virus”.
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