venerdì 22 gennaio 2021

A Genova scoperta terapia per sclerosi multipla

Studio del S. Martino. Focus su trapianto autologo di staminali

(ANSA) - GENOVA, 21 GEN - L'intensa immunosoppressione seguita da trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche blocca la progressione della malattia della sclerosi multipla. Lo ha rivelato uno studio malattia pubblicato sulla rivista Neurology e coordinato dall' Ospedale Policlinico San Martino e dal Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili dell'Università di Genova. Lo studio del Prof. Gianluigi Mancardi e del Dott. Giacomo Boffa, ha coinvolto 20 centri italiani. Sono stati studiati tutti i pazienti con sclerosi multipla aggressiva che hanno subito un trapianto in Italia dal 1998 al 2019 che sono stati seguiti per un follow up medio di circa 6 anni. "I dati dimostrano che oltre il 60% dei pazienti non ha un aggravamento della disabilità dopo 10 anni dal trapianto e in molti casi si osserva anche un miglioramento del quadro neurologico duraturo nel tempo", spiega l'Ospedale San Martino in una nota. "I risultati ottenuti sono di fondamentale importanza nel contesto attuale della malattia", spiega Boffa.

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giovedì 21 gennaio 2021

Mascherine chirurgiche ancora buone dopo 5 lavaggi. Le prove condotte da Altroconsumo

 

Secondo la rivista Altroconsumo le prestazioni delle mascherine usa e getta restano invariate anche dopo 5 lavaggi. Le mascherine sono uno degli strumenti fondamentali per la prevenzione dal contagio da Covid-19 e, tra le tipologie più diffuse ci sono le chirurgiche, che garantiscono protezione dal virus, ma allo stesso tempo stanno generando un grave impatto ambientale.

Altroconsumo ha realizzato un test su 80 modelli usa e getta distribuiti nelle scuole di varie marche (5, Luxottica group, Fater Spa, FAB – Grazioli, Giuntini Spa (Salvaguarda), FCA ITALY SPA), dimostrando che esiste la possibilità di riutilizzare questi dispositivi di protezione anche dopo il passaggio in lavatrice. La cosa è importane perché oltre al risparmio economico si ridurrebbe l’impatto ambientale di milioni  pezzi che vengono gettati ogni giorno nella spazzatura perché ritenuti non più efficienti.

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mercoledì 20 gennaio 2021

Gli effetti del Covid sul cervello, 300 studi mettono in allarme

Il neurochirurgo Maira, "dalla perdita di memoria agli ictus e in rari casi attacchi epilettici"

Il cervello può essere bersaglio della malattia Covid-19. A dimostrarlo sono circa 300 studi scientifici che riportano sintomi neurologici collegati all'infezione da Sars Cov-2, che vanno dalla cefalea e la mancanza di olfatto a perdite di memoria fino a ictus, micro ischemie e in rari casi attacchi epilettici. A fare il punto è Giulio Maira, neurochirurgo di fama mondiale e già ordinario di Neurochirurgia all'Università Cattolica, che mette in guardia i colleghi: "E' importante non sottovalutare questo aspetto".
    Il Covid-19 è una patologia primariamente respiratoria ma aggredisce anche altri organi, tra cui il sistema nervoso. "Le pubblicazioni su questo sono sempre più frequenti e fino ad oggi se ne contano su Pubmed già 302. Tra i primi a dimostrarlo un team di medici giapponesi che avevano individuato edemi nel cervello di pazienti gravi, per via dell'infiammazione seguita ala risposta immunitaria al Sars-Cov-2", precisa Alessandra Serraino, neurochirurga del team del professor Maira.
    D'altronde, che il Covid-19 abbia un impatto neurologico era immaginabile anche solo guardando gli studi su altri coronavirus. La Sars, ad esempio, riporta un articolo pubblicato su Nature online, ha mostrato di essere in grado di attaccare il cervello nello 0,04% dei casi e la Mers nello 0,2%. Percentuali apparentemente basse ma che, considerando l'elevatissimo numero di contagi da Sars-Cov-2, sarebbero molto rilevanti. E i dati, a tal proposito, si stanno moltiplicando.
    Le evidenze scientifiche, precisa Maira, "mostrano che il Covid ha un effetto significativo sul sistema nervoso: a partire da uno dei sintomi più comuni, la perdita dell'olfatto che interessa circa l'80% dei pazienti ed è collegata a un'infiammazione del nervo olfattivo. Molto frequente è anche il mal di testa, riportato da circa il 15%, ma anche i disturbi della memoria interessano una quota non irrilevante di pazienti e permangono per un certo lasso di tempo anche dopo la negativizzazione al tampone". Fino ad arrivare agli effetti più gravi, come i disturbi cerebrovascolari e gli ictus ischemici "che interessano il 2,8% dei pazienti dei ricoverati in terapia intensiva, e sono dovuti a una eccessiva infiammazione e conseguente ipercoagulazione del sangue indotta dall'infiammazione. 

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martedì 19 gennaio 2021

Covid, i sintomi che indicano che sei immune

Un nuovo studio ha individuato dei sintomi che, se associati al Covid, possono indicare la presenza di un'immunità duratura nel paziente


L’importanza di tenere sotto controllo i sintomi di un paziente positivo al Covid sta crescendo sempre di più, questo perché lo stato di salute non solo permette di studiare ulteriori peggioramenti (e quindi l’avanzamento dell’infezione). Diverse ricerche, difatti, hanno dimostrato come vi sia una certa correlazione tra i sintomi e il progredire della malattia, l’ultimo, per esempio, riguarda l’immunità che i pazienti possono ottenere dopo il recupero, dimostrando una certa correlazione tra i sintomi Sars-CoV-2 e lo sviluppo di anticorpi.

Il caso degli asintomatici: sono immuni dal Covid?

Sebbene ci siano stati casi di persone che hanno contratto il Coronavirus più di una volta, gli esperti ritengono che durante la malattia è altamente probabile che si sviluppino anticorpi in grado di assicurare una sorta di immunità innata al rischi di reinfezione.

Una nuova ricerca condotta dall’Università del Wisconsin, inoltre, è riuscita a dimostrare che c’è una certa correlazione tra il tipo di sintomi manifestatisi in un paziente positivo al Covid e il rischio di riammalarsi.

Il momento in cui il nostro sistema immunitario inizia a combattere l’infezione coincide con quello dello sviluppo di anticorpi resistenti al Covid. Ciò che diversi studi hanno dimostrato negli ultimi mesi, inoltre, è che gli anticorpi possono durare tra i 3-6 mesi in una persona, dopodiché è possibile che inizino a diminuire.

Secondo lo studio condotto dall’Università del Wisconsin, però, gli asintomatici e quelli con casi di infezione più lieve hanno un’immunità inferiore rispetto ad altri.

Coronavirus, i sintomi che indicano che sei immune

Sebbene sia necessario condurre altri esperimenti incrociati per avvalorare questa tesi, lo studio americano ha individuato dei sintomi precisi che – secondo quanto dimostrano i dati – indicano se il paziente ha sviluppato un’immunità forte al Covid o meno. Questi sono:

  • febbre per più di una settimana;
  • perdita dell’appetito;
  • diarrea;
  • crampi addominali e forte mal di stomaco.

Lo studio

La ricerca condotta dagli scienziati del Wisconsin, anche se non è stata sottoposta ancora a revisione, ha analizzato campioni di sangue di 113 pazienti appena guariti dal Covid, che sono stati poi confrontati con campioni di sangue prelevati tre mesi dopo dagli stessi.

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Con occhi poco idratati anche la vista si affatica

La salute delle nostre pupille dipende infatti anche da un corretto equilibrio dei liquidi nel corpo, che regola la lubrificazione.
 

Sono numerosi gli effetti della disidratazione sulla salute e sullo stato generale di benessere e sono spesso facilmente collegabili a mal di testa, sonnolenza, crampi, vertigini o calcoli renali. Più insidiose sono però conseguenze della disidratazione meno comunemente associabili e che rischiano di compromettere funzioni assolutamente essenziali: i nostri occhi e la vista. La combinazione di disidratazione e scarsa lubrificazione si percepisce come secchezza agli occhi e produce sensazione di affaticamento visivo, ancor più forte quando si passano numerose ore davanti ad uno schermo per lavoro o nella guida notturna.

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10 consigli contro la sindrome dell'occhio secco

lunedì 18 gennaio 2021

I segreti di lunga vita, mangiare bene e fare sport

La lettura magistrale di Luigi Fontana al Congresso Sid

(ANSA) - ROMA, 03 DIC - Mangiare 'bene' e fare sport allunga la vita. Anche nei pazienti diabetici. Invecchiare male, invece, costa. Con la prospettiva di un invecchiamento progressivo della popolazione (si stima che nel 2050, 1 italiano su 3 avrà più di 65 anni) la prevenzione delle malattie croniche è centrale. Uno dei più importanti fattori di rischio da combattere è il sovrappeso. Soprattutto l'obesità viscerale si associa a fattori di rischio cardio-metabolici come il diabete di tipo 2, le infiammazioni, la dislipidemia, l'ipertensione, lo scompenso cardiaco, l'ictus, la demenza vascolare, ma anche la Nash (la steatoepatite non alcolica) e una serie di tumori (colon, mammella, utero, rene, esofago, pancreas, fegato). È questo quanto emerge dalla lettura magistrale di Luigi Fontana, direttore dell'Healthy Longevity Program Charles Perkins Centre dell'Università di Sidney (Australia) per il 28esimo Congresso nazionale della Sid, la Società italiana di diabetologia. Per Fontana l'attività fisica è "un 'farmaco' potentissimo per migliorare la sensibilità all'insulina", perché con l'attività fisica si riduce il grasso viscerale e aumentano numero e attività dei mitocondri nel sistema muscolo-scheletrico. Questo permette di aumentare il consumo di ossigeno. Già 15 anni prima della comparsa del diabete, spiega Fontana, le persone presentano insulino-resistenza e in seguito si assiste ad un aumento progressivo dell'insulino-resistenza e dei livelli di insulina circolante. "Per questo è fondamentale non aspettare che una persona arrivi da noi con 115 mg/dl, perché significa che ha avuto iperinsulinemia per 10-15 anni, condizione che promuove invecchiamento, e cancro". "Mangiare meno e mangiare 'bene' allunga la vita - afferma il professor Agostino Consoli, presidente eletto della Società italiana di diabetologia - Questo è uno dei messaggi chiave della lettura del professor Fontana. 

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venerdì 15 gennaio 2021

Covid: la società scientifica Sis 118, associare vitamina D alla terapia a primi sintomi

'La modulazione della risposta immunitaria della vitamina D contrasta la tempesta citochinica infiammatoria", scrive la Società

 "Nella strategia di prevenzione del contagio da Sars-CoV2 è fondamentale assicurare valori ematici elevati adeguati di vitamina D3 (perché sono direttamente correlati ad una aumentata risposta immunitaria), in supporto alla terapia contro la malattia, nonché alla terapia della sindrome post-Covid, poichè la modulazione della risposta immunitaria della vitamina D contrasta la tempesta citochinica infiammatoria". Lo scrive la Società scientifica Sis 118 che ha documentato i dati emersi dalla presa in carico di alcune centinaia di pazienti Covid.
    "Aldilà delle svolte più determinanti sui parametri della riduzione delle forme cliniche severe e soprattutto della mortalità, rimane centrale la necessità ,clinica e gestionale, di impedire che i pazienti positivi al Covid, con sintomatologia respiratoria acuta, si deteriorino al domicilio sviluppando livelli di insufficienza respiratoria talmente gravi da risultare difficilmente responsivi alle cure intensive ospedaliere", spiega Mario Balzanelli, presidente della Sis 118. "Nel periodo compreso tra il 21 settembre ed il 21 novembre 2020 - aggiunge - nella stazione Covid della postazione medicalizzata fissa 118 dell'ospedale San Giuseppe Moscati di Taranto è stato documentato come nella totalità dei pazienti con insufficienza respiratoria acuta secondaria a polmonite interstizio-alveolare, deficit estremamente severo di vitamina D3, tanto più marcato quanto più compromesse erano le condizioni cliniche".

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Iss: 'Le misure hanno frenato il virus .Immunità di gregge non prima di 6-8 mesi'


Frutta secca amica della vista: uno studio svela quale protegge gli occhi

Tra i benefici della frutta secca c'è anche quello di proteggere la retina. I risultati di uno studio. Frutta secca che passione. Da qua...