lunedì 11 dicembre 2017
sabato 9 dicembre 2017
Etichette a semaforo, tra bufale e realtà. Dossier del Fatto Alimentare per capire come funzionano e perché qualcuno rema contro
In Italia le etichette a semaforo non piacciono. Eppure stiamo parlando di un ottimo sistema per aiutare il consumatore a capire le caratteristiche nutrizionali di un prodotto. Il sistema è molto semplice: il rosso indica un alimento da assumere con moderazione, il verde un cibo sano mentre l’arancione invita a consumare il prodotto senza esagerare, per mantenere una dieta equilibrata. Le etichette sono state accolte con entusiasmo dall’OMS e dalle associazioni dei consumatori, vengono usate da anni in Inghilterra e adesso, con il Nutri-Score, anche in Francia. Ma nonostante ciò, risultano invise a Coldiretti, ai ministri delle politiche agricole e della salute, a diverse associazioni di categoria come l’Unione Italiana Food (ex Aidepi e Aiipa), Assolatte e anche a diverse associazioni di consumatori, compresa una nutrita rappresentanza di cuochi. Nel gruppo mancano però nutrizionisti e società scientifiche che si occupano di alimentazione, come pure il parere del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (Cnsa) e del Crea Nut (ex Inran) che dovrebbero essere i massimi esperti del settore.
In Italia alcuni sostengono che le etichette a semaforo siano l’espressione delle multinazionali del cibo, a cui enti e istituzioni avrebbero aderito contro gli interessi dei consumatori. Questa tesi è falsa. Basta dire che le etichette multicolore in Francia sono il frutto di un progetto promosso dai ministri della salute e dell’agricoltura, da enti scientifici e persino dell’industria con l’adesione delle associazioni di consumatori e di importanti catene di supermercati, come Auchan, con lo scopo di aiutare il consumatore a districarsi e a capire meglio le indicazioni nutrizionali già presenti sulle etichette.
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L’acrilammide che si forma nelle patatine, nei biscotti, nel caffè e nel pane cotto ad alte temperature è nociva.
Olio di palma continua la deforestazione.
venerdì 8 dicembre 2017
"La corsa ti fa bella": un calendario delle runner romane per aiutare la terapia del sorriso
Il calendario verrà distribuito ad un prezzo simbolico di 5 euro e il ricavato sarà devoluto all'Associazione Ridere per Vivere che opera nei reparti ospedalieri pediatrici. Hanno posato le atlete delle società podistiche della capitale
di MARCO RAFFAELLI
ROMA - E' nato il Calendario 2018 "La corsa ti fa bella". Un progetto che vede dodici atlete rappresentanti di alcune società podistiche romane, mettersi in gioco per dimostrare che la corsa non è solo fatica e sudore ma anche femminilità. Il calendario verrà distribuito dalla prossima settimana ad un prezzo simbolico di 5 euro. Il ricavato sarà devoluto all'Associazione Ridere per Vivere che opera nei reparti ospedalieri pediatrici e non solo, per portare attraverso la terapia del sorriso un'emozione positiva ai bambini malati. "Speriamo di riuscire a raccogliere una bella cifra per aiutare questi bravissimi operatori che riescono giornalmente a strappare sorrisi sulla bocca di chi soffre" dice Laura Duchi, Presidente del Gruppo Sportivo Bancari Romani e ideatrice del progetto "La Corsa ti fa bella".
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ROMA - E' nato il Calendario 2018 "La corsa ti fa bella". Un progetto che vede dodici atlete rappresentanti di alcune società podistiche romane, mettersi in gioco per dimostrare che la corsa non è solo fatica e sudore ma anche femminilità. Il calendario verrà distribuito dalla prossima settimana ad un prezzo simbolico di 5 euro. Il ricavato sarà devoluto all'Associazione Ridere per Vivere che opera nei reparti ospedalieri pediatrici e non solo, per portare attraverso la terapia del sorriso un'emozione positiva ai bambini malati. "Speriamo di riuscire a raccogliere una bella cifra per aiutare questi bravissimi operatori che riescono giornalmente a strappare sorrisi sulla bocca di chi soffre" dice Laura Duchi, Presidente del Gruppo Sportivo Bancari Romani e ideatrice del progetto "La Corsa ti fa bella".
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martedì 5 dicembre 2017
Cesio nei funghi, sotto esame anche le castagne e i mirtilli
Legambiente: “Attenti agli alimenti in arrivo da zone contaminate”
La stagione quest’anno non è stata particolarmente generosa. La
ricerca di funghi spesso si risolveva con una passeggiata nei boschi e
il cestino vuoto, tranne per qualche caso fortunato. Ma ora si è
trasformata in un incubo.
I funghi raccolti in Valsesia potrebbero essere radioattivi. E a questo punto potrebbero esserlo pure castagne e mirtilli. Ovvero contenere più di 600 becquerel per chilo, il limite tollerabile dall’uomo in caso di incidente nucleare. «Il mostro sta scappando dalla gabbia e ormai nessuno più riesce a fermarlo, perché anche se sono passati 30 anni da Cernobil, le radiazioni sono ancora qui – dice Gian Piero Godio di Legambiente -. Il Cesio se assunto si insedia nelle ossa e attacca il corpo da dentro. Io sconsiglio di mangiare i funghi provenienti dalle zone contaminate. E la Valsesia è una di quelle con la maggiore concentrazione, a causa delle piogge di quel periodo». «I funghi andrebbero fatti analizzare - continua Godio - ma sappiamo che nei ristoranti italiani arrivano anche funghi dalla Bielorussia, che sfuggono quindi ai controlli. Non è che se il Cesio è sotto al limite allora non fa male: è sempre una quantità che introduciamo nel nostro corpo».
I campioni
E’ successo su uno dei 68 campioni prelevati dalla stessa zona in cui tre anni fa si scoprirono cinghiali radioattivi, tanto che l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ha ordinato una ricerca, estesa anche agli altri frutti del bosco. I boschi valsesiani scontano ancora l’eccessiva radioattività dovuta all’incidente della centrale nucleare di Cernobil del 1986. Tre anni fa vennero analizzati capi di selvaggina, come cinghiali, caprioli, camosci, cervi, ma anche campioni di latte e formaggio prodotti in Valsesia; questi ultimi risultati negativi. I cinghiali, però, erano risultati radioattivi.
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L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale ha scoperto cesio oltre la soglia di tolleranza in un fungo |
GIUSEPPE ORRU'
VARALLO (VC)
I funghi raccolti in Valsesia potrebbero essere radioattivi. E a questo punto potrebbero esserlo pure castagne e mirtilli. Ovvero contenere più di 600 becquerel per chilo, il limite tollerabile dall’uomo in caso di incidente nucleare. «Il mostro sta scappando dalla gabbia e ormai nessuno più riesce a fermarlo, perché anche se sono passati 30 anni da Cernobil, le radiazioni sono ancora qui – dice Gian Piero Godio di Legambiente -. Il Cesio se assunto si insedia nelle ossa e attacca il corpo da dentro. Io sconsiglio di mangiare i funghi provenienti dalle zone contaminate. E la Valsesia è una di quelle con la maggiore concentrazione, a causa delle piogge di quel periodo». «I funghi andrebbero fatti analizzare - continua Godio - ma sappiamo che nei ristoranti italiani arrivano anche funghi dalla Bielorussia, che sfuggono quindi ai controlli. Non è che se il Cesio è sotto al limite allora non fa male: è sempre una quantità che introduciamo nel nostro corpo».
I campioni
E’ successo su uno dei 68 campioni prelevati dalla stessa zona in cui tre anni fa si scoprirono cinghiali radioattivi, tanto che l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ha ordinato una ricerca, estesa anche agli altri frutti del bosco. I boschi valsesiani scontano ancora l’eccessiva radioattività dovuta all’incidente della centrale nucleare di Cernobil del 1986. Tre anni fa vennero analizzati capi di selvaggina, come cinghiali, caprioli, camosci, cervi, ma anche campioni di latte e formaggio prodotti in Valsesia; questi ultimi risultati negativi. I cinghiali, però, erano risultati radioattivi.
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lunedì 4 dicembre 2017
Dieta Bio: efficace nel ridurre i livelli di pesticidi nel nostro organismo
La prova lampante giunge dalle analisi delle urine sui livelli di pesticidi di una famiglia sottoposta a 15 giorni di dieta Bio. |
Mangiare Bio potrebbe non essere una scelta fatta solo per "moda". I fissati col mangiar sano e biologico da oggi potranno certamente essere guardati con occhi diversi, perché, ebbene si, hanno ragione loro! I benefici tratti dall'alimentarsi con cibi biologici, in particolare sui livelli di pesticidi presenti nelle urine, sono stati verificati e comprovati sottoponendo ad una dieta Bio, della durata di 15 giorni, una normale famiglia italiana. Il progetto rientra nell'ambito della campagna #ipesticididentrodinoi di "Cambia la terra", promossa da FederBio con Isde-Medici per l'ambiente, Legambiente, Lipu, Wwf e sostenuta da un gruppo di aziende di prodotti biologici (Aboca, Germinal Bio, NaturaSì, Pizzi Osvaldo, Probios e Rigoni di Asiago).
I livelli di pesticidi valutati
Marta (46 anni, logopedista) e Giorgio D. (47 anni, operatore informatico), insieme ai loro due bambini di 7 e 9 anni, Giacomo e Stella, si sono sottoposti, all'inizio dell'esperimento, ad un esame delle urine per verificare i livelli di 4 pesticidi, in particolare:
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domenica 3 dicembre 2017
Glifosato: Report e Coldiretti lanciano l’allarme. Ma per superare i limiti bisognerebbe mangiare da 100 a 600 kg di pasta al giorno!
La storia del diserbante glifosato presente nel grano duro canadese importato in Italia, è stata raccontata da Coldiretti anche attraverso diversi presidi nel porto di Bari dove attraccano le navi. La storia ha convinto migliaia di persone a diffidare delle materie prime straniere, anche se alcuni elementi di questa vicenda risultano poco chiari. C’è infatti da chiedersi perché Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, a Bari guidi i manifestanti all’arrembaggio delle navi cariche di grano canadese “contaminato” da glifosato e a Bruxelles sottoscriva come vicepresidente del gruppo COPA COGECA (l’organizzazione europea cui aderiscono le associazioni degli agricoltori e delle cooperative agricole) un documento che invita l’UE a rinnovare per altri 15 anni l’autorizzazione dell’erbicida in Europa.
Stiamo parlando del diserbante più
utilizzato al mondo, e usato ampiamente per i cereali anche nel nostro
Paese sino a un anno fa. Per questo motivo adesso è facile trovarlo in
quantità infinitesimali in molti alimenti, anche ottenuti con il 100% di
materie prime italiane.
Il problema del glifosato (che lo Iarc considera cancerogeno e l’Efsa no) esiste ed è grave in quanto siamo di fronte a un prodotto chimico efficace sul campo e molto economico, usato in tutto il mondo. In queste settimane la questione è all’ordine del giorno della Commissione Europea che dovrà decidere se rinnovare, e per quanti anni, l’autorizzazione all’uso del diserbante (che è anche sospettato di essere un interferente endocrino). Purtroppo il glifosato si trova in quantità infinitesimali anche nelle acque di irrigazione. Si è trovato in tracce in diversi cibi, come birra e succo di arancia, venduti negli Usa. In attesa delle decisioni dell’UE sul suo impiego, la narrazione suggerita da Coldiretti della pasta italiana preparata con grano importato contaminato appare assolutamente strumentale. Si tratta di propaganda priva di riscontri validi, tanto che analisi fatte di recente da riviste specializzate e associazioni di consumatori evidenziano la presenza di tracce di diserbante anche in prodotti 100% italiani.
Ma perché allora un programma di inchieste giornalistiche come Report
su Rai 3 ha raccontato questa storia in modo avvincente? Il servizio
del giornalista inviato in Canada ha proposto immagini molto efficaci e
ha focalizzato l’attenzione sul problema attraverso interviste a
soggetti non proprio super partes, che hanno creato molta confusione e
destato un certo allarmismo. Il colpo di scena del programma però si
registra al 14° minuto quando vengono presentati i risultati delle
analisi sul glifosato fatte in laboratorio su 6 campioni di pasta
italiana (Barilla, Garofalo, Divella, Rummo, La Molisana, De Cecco).
Prima di leggere i risultati il conduttore precisa che il glifosato è
stato trovato in tracce e i valori sono “ampiamente sotto i limiti di legge” e poi conclude dicendo che “bisognerebbe mangiare da 100 a 600 kg di pasta al giorno per superare i livelli stabiliti dall’Efsa!“.
Ma se la situazione è questa – verrebbe da dire – di cosa stiamo parlando? Forse vale la pena ricordare che gli italiani mangiano 28 kg di pasta in un anno. Il conduttore di Report Sigfrido Ranucci con questa frase ha praticamente annullato l’effetto del presunto scoop, rivelando al telespettatori che il pericolo risulta alquanto remoto. Valori simili di glifosato nella pasta sono stati rilevati dalla rivista Test Il Salvagente e dal mensile Altroconsumo che hanno realizzato prove di laboratorio, così come pure da altri che hanno trovato la presenza del diserbante in quantità infinitesimali anche nella farina italiana.
Il problema del glifosato (che lo Iarc considera cancerogeno e l’Efsa no) esiste ed è grave in quanto siamo di fronte a un prodotto chimico efficace sul campo e molto economico, usato in tutto il mondo. In queste settimane la questione è all’ordine del giorno della Commissione Europea che dovrà decidere se rinnovare, e per quanti anni, l’autorizzazione all’uso del diserbante (che è anche sospettato di essere un interferente endocrino). Purtroppo il glifosato si trova in quantità infinitesimali anche nelle acque di irrigazione. Si è trovato in tracce in diversi cibi, come birra e succo di arancia, venduti negli Usa. In attesa delle decisioni dell’UE sul suo impiego, la narrazione suggerita da Coldiretti della pasta italiana preparata con grano importato contaminato appare assolutamente strumentale. Si tratta di propaganda priva di riscontri validi, tanto che analisi fatte di recente da riviste specializzate e associazioni di consumatori evidenziano la presenza di tracce di diserbante anche in prodotti 100% italiani.
Report precisa che: il glifosato è stato trovato in tracce e i valori sono “ampiamente sotto i limiti di legge” |
Ma se la situazione è questa – verrebbe da dire – di cosa stiamo parlando? Forse vale la pena ricordare che gli italiani mangiano 28 kg di pasta in un anno. Il conduttore di Report Sigfrido Ranucci con questa frase ha praticamente annullato l’effetto del presunto scoop, rivelando al telespettatori che il pericolo risulta alquanto remoto. Valori simili di glifosato nella pasta sono stati rilevati dalla rivista Test Il Salvagente e dal mensile Altroconsumo che hanno realizzato prove di laboratorio, così come pure da altri che hanno trovato la presenza del diserbante in quantità infinitesimali anche nella farina italiana.
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“Mutti richiama passata di pomodoro” è una bufala della rete. La fake news che annuncia il ritiro per presenza di arsenico viaggia su WhatsApp
“Passata di pomodoro Mutti richiamata per tracce di arsenico”:
la falsa notizia apparsa ieri sera su WhatsApp sta diventando virale.
Si tratta dell’ennesima fake news che la rete regala ai consumatori.
Questa volta la bufala è ben congegnata, perché accompagnata da un
modulo di richiamo del Ministero della salute che però è stato
modificato. La foto abbinata alla notizia segnala che un lotto di
passata di pomodoro Mutti da 700g sarebbe stato ritirato dalla catena di
supermercati Conad per la presenza di tracce di arsenico, una sostanza
tossica ben nota al pubblico, scelta aumentare l’impatto della bufala.
Per rendere la fake news credibile, i creatori hanno utilizzato un vero modulo diffuso dal Ministero della salute qualche giorno fa, relativo ai filetti di acciuga Athena di Eurospin, modificando i principali dati, ma lasciando qualche riferimento per cui risulta riconoscibile.
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Per rendere la fake news credibile, i creatori hanno utilizzato un vero modulo diffuso dal Ministero della salute qualche giorno fa, relativo ai filetti di acciuga Athena di Eurospin, modificando i principali dati, ma lasciando qualche riferimento per cui risulta riconoscibile.
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