martedì 11 giugno 2019

Il 35% del prosciutto crudo di Parma e San Daniele è falso. Una truffa gigantesca. Consorzi ed enti di certificazione nella bufera

Ogni settimana 80.000 cosce di maiale inadatte a diventare prosciutti crudi di Parma e di San Daniele Dop entrano in modo truffaldino nel circuito e vengono poi vendute a prezzi stratosferici nelle salumerie e nei migliori supermercati. Nessuno però lo dice. Non dicono nulla i direttori dei Consorzi coinvolti fino al collo in questa vicenda. Anche l’associazione di allevatori Unapros e i macellatori e i prosciuttifici di Assica non rilasciano dichiarazioni, pur essendo molti dei loro associati protagonisti delle frodi. Anche le rappresentanze di Coldiretti e Confagricoltura preferiscono non commentare. Tutti sperano che lo scandalo di Prosciuttopoli finisca nel dimenticatoio, anche se un mese fa sono arrivate le prime condanne decise dal tribunale di Torino che hanno riacceso i fari sulla vicenda. In realtà Prosciuttopoli va avanti, perché nei prosciuttifici continuano a essere stoccate centinaia di migliaia di cosce illegali, destinate ad essere stagionate e vendute come veri prosciutti di Parma e San Daniele Dop.
Prosciuttopoli è l’inchiesta realizzata da Il Fatto Alimentare un anno fa. Nell’aprile del 2018 scriviamo che almeno 1,2 milioni di falsi prosciutti di Parma e San Daniele (ottenuti da maiali troppo pesanti, non adatti alla stagionatura, da cui si ottengono cosce più grandi, salumi più magri e prosciutti che pesano 1 kg di più), sono finiti sul mercato. I due istituti di certificazione accusati di non avere controllato in modo inadeguato la filiera, vengono commissariati per 6 mesi. Tutto sembra finito con l’arrivo delle prime condanne a maggio 2019. Ma non è così.
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lunedì 10 giugno 2019

Cura del cancro e maltolo, bufala?

Cancro e maltolo. Alcuni mi hanno chiesto quanto sia vera la notizia che circola sempre più su Facebook e via email rispetto una “nuova cura per il cancro”, “basata sul maltolo” e “tenuta nascosta dalle multinazionali e dai mezzi di informazione”.

In particolare a essere diffuso è un video nel quale appare un sedicente giornalista. Parla di un paio di “ricercatori precari” di Urbino, che avrebbero scoperto una fenomenale “molecola naturale”, il maltolo, in grado di far “suicidare le cellule tumorali”. Nessuno parlerebbe della cura perché le multinazionali stanno cercando di oscurare il fatto e i media, conniventi, non danno quindi la notizia.
Bene: è falso.
O meglio – come spesso succede in questi casi – la notizia è in parte vera: ma è talmente sommersa di generalizzazioni, complottismi, false rivelazioni e misteri da essere talmente diluita da non aver quasi più alcun elemento di verità (un po’ come nei principi dell’omeopatia). Sfortunatamente, utilizzare elementi veri aggiungendo dosi di “mistero” e “complotto” è tipico delle bufale. Chiunque le alimenti, in buona o in cattiva fede, genera false speranze, false aspettative, e illude malati e famiglie. Vediamo prima di tutto le falsità presenti nel video che circola:
  1. Non risulta che nessuna “multinazionale del farmaco” (cit.) stia cercando di ostacolare la ricerca in questione, al contrario: quanto scoperto è stato oggetto di brevetto in Italia e se ne è parlato in pubblicazioni scientifiche.
  2. Per quanto concerne i “ricercatori precari”. Beh, il primo non è ricercatore e neanche precario: Vieri Fusi è infatti professore associato dell’Università di Urbino (pagina personale di Vieri Fusi). Mirco Fanellirisulta invece occuparsi del “laboratorio di PatologiaMolecolare” e nelle pagine dell’università è definito ricercatore dal 2002 a oggi. Quindi, salvo imprecisioni, deve essere “ricercatore confermato” e non precario (pagina personale di Mirco Fanelli).
  3. La notizia non è affatto nuova, è del marzo 2013 e deriva da studi di cui già si era parlato anche precedentemente.
  4. Non è vero che i giornali hanno oscurato la notizia, al contrario: è stata annunciata su molte testate tra le quali Corriere della SeraIl Sole 24 OrePanoramaIl Resto del Carlino, e dalla principale agenzia stampa italiana, l’ANSA. Proprio perché molto se ne è parlato, uno dei due soggetti ha sentito la necessità umana di chiarire commentando un articolo in proposito sul magazine dell’università relativacon un messaggio che copio di seguito (la sede del messaggio è un forte indizio a supporto dell’indentità dell’autore, poi intervistato a proposito, ma la cosa è comunque facilmente verificabile).
  5. Semplificare quando si parla di temi così specifici non è sfortunatamente possibile. Ci sono tipi di neoplasie molto differenti, per caratteristiche, dimensioni, eziologia, risposta alle cure… La semplice frase “cura per il cancro” non è tecnicamente corretta e dovrebbe quindi da subito far nascere qualche sospetto.
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venerdì 7 giugno 2019

Avvelenamento da funghi, nessun rischio se si interviene entro 6 ore

Centro antiveleni Milano, in 20 anni seguiti quasi 13mila casi


ROMA - In 20 anni, dal 1998 al 2017, sono quasi 13mila i casi di sospetto avvelenamento da funghi seguiti dal Centro antiveleni (Cav) di Milano. Per 19 pazienti, a causa dei danni al fegato, è stato necessario un trapianto d'organo, mentre 40 sono morti. A presentare i dati è il Cav sulla rivista Ben dell'Istituto superiore di sanità (Iss), in cui sottolinea l'importanza di un intervento tempestivo, entro 6 ore.

Di solito il tasso di letalità per intossicazione da funghi con amatossine si aggira tra il 15 e 25%, contro il 6,3% del Cav di Milano. "Il nostro risultato - spiega il Cav nello studio - è determinato sia dal rapido arrivo in ospedale dei pazienti, sia dal corretto inquadramento e applicazione del protocollo". Se si interviene in un periodo che va dai 30 minuti a 6 ore dopo l'ingestione, non ci sono rischi. Se invece si aspetta oltre le 6 ore, il rischio di mortalità è alto. Al Cav di Milano ogni anno arrivano un migliaio di richieste di consulenza da tutta Italia, prevalentemente da medici, ma anche da privati cittadini. Complessivamente, dal 1998 al 2017, gli sono arrivate 15.864 richieste di consulenza per intossicazione da funghi, di cui 12.813 su casi clinici. Tutti avevano sintomi gastroenterici (vomito, diarrea e grave disidratazione), che richiedevano l'intervento medico o ospedaliero.

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sabato 1 giugno 2019

Tumore al seno, nuova cura aumenta la sopravvivenza delle giovani

Sono in aumento le donne giovani, tra 20 e 39 anni, con tumore al seno avanzato


Sono in aumento le donne giovani, tra 20 e 39 anni, con tumore al seno avanzato. Per loro, una nuova speranza arriva da una molecola (ribociclib) che, aggiunta alla terapia endocrina standard, ha dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza.
A evidenziarlo è lo studio di fase III MONALEESA-7, su un campione di 672 pazienti seguite da circa tre anni, presentato al congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco). Lo studio ha evidenziato che dopo 42 mesi di trattamento, il tasso di sopravvivenza era del 70% per le donne trattate col farmaco e la terapia standard e del 46% per quelle che ricevevano la sola cura standard. I risultati dello studio sono stati presentati in conferenza stampa all'Asco come notizia urgente 'late-breaker' e pubblicati simultaneamente sul New England Journal of Medicine. ​ "Il cancro del seno avanzato - afferma l'esperto Asco Harold Burstein - può essere molto aggressivo ed è la principale causa di morte per cancro tra le donne tra 20 e 59 anni di età. E' dunque incoraggiante vedere una terapia mirata che aumenta significativamente la sopravvivenza per le donne più giovani con questa malattia".
Questa forma tumorale, sottolineano gli esperti, è meno comune tra le donne prima della menopausa ma la sua incidenza è in aumento: negli Usa, tra le donne tra 20 e 39 anni è aumentata del 2% tra il 1978 ed il 2008. L'effetto della nuova molecola, che ha avuto l'approvazione dell'ente regolatorio statunitense Fda, è quello di inibire l'attività di alcuni enzimi che aiutano la proliferazione delle cellule tumorali, portando ad una riduzione del rischio di morte del 30%.

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Da pediatri 5 regole salva-cuore, la cura inizia da piccoli

Malattie cardiovascolari affondano le radici nell'infanzia


Il cuore, qualcosa di cui prendersi cura non solo da adulti. Le malattie cardiovascolari, che rappresentano la prima causa di morte e spesa sanitaria nelle società avanzate, si manifestano infatti da grandi, ma affondano le radici nell'infanzia. A evidenziarlo sono gli esperti della Sip, Società italiana di pediatria, in occasione del 75esimo congresso di pediatria a Bologna. Il Gruppo di Studio Ipertensione Arteriosa e Rischio Cardiovascolare della Sip ha realizzato un manuale sul rischio in bimbi e ragazzi. "I processi di alterazione vascolare, la premessa delle patologie cardiovascolari fino a infarto e ictus, iniziano nei primi 10 anni di vita - spiega Gianni Bona, esperto Sip - in qualche modo il decadimento delle arterie comincia dal primo giorno e interessa tutti: quello che cambia è la velocità con cui questi processi avvengono". Tra i 10 'nemici' del cuore, sin da piccoli, vi sono scarso o eccessivo peso alla nascita, predisposizione genetica, sovrappeso e obesità, fumo. E poi ipertensione, che riguarda il 4% dei bambini tra 6 e 16 anni (ben il 24% tra quelli obesi), sedentarietà e alterazioni del sonno: il 27% dei bimbi in età scolare e il 45% degli adolescenti dormono meno di quanto raccomandato. Infine alcune malattie croniche endrocrinologiche, ai reni e al cuore, alcuni farmaci come cortisone, immunosoppressori, diuretici, e il fruttosio, il cui uso eccessivo può essere dannoso per la salute. Cinque le regole salva-cuore: misurare la pressione arteriosa sin dai 3 anni; ridurre il sale, ma anche il consumo di fruttosio contenuto in soft drink, tè zuccherati, succhi di frutta; incentivare l'abitudine a una prima colazione completa che rappresenti almeno il 20-25% delle calorie giornaliere, favorire l'utilizzo di alimenti integrali e farine poco raffinate, ricchi di fibre, meno assorbibili dall'intestino e che producono una minora elevazione della glicemia; far praticare ai bambini regolare attività fisica (almeno 60 minuti al giorno da 5 a 17 anni) e favorire gli spostamenti a piedi;

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mercoledì 22 maggio 2019

Classifica città Indice della salute Sole 24 Ore Genova seconda per mortalità causata da tumori

Classifica città Indice della salute Sole 24 Ore
La graduatoria è il risultato della media dei punteggi ottenuti dai diversi territori nei singoli indicatori. Le province prese in considerazione sono 107


Classifica città Indice della salute Sole 24 Ore
Dopo quelle su qualità della vita e clima, il Sole 24 Ore propone altri parametri di confronto fra le province italiane: ben 12 indicatori, dal cui confronto è nato l'Indice della salute. Il quotidiano economico ha valutato incidenza delle malattie sul territorio, possibilità di curarle attraverso i farmaci, accesso alle cure e la disponibilità di personale specializzato, dall'infanzia alla vecchiaia, oppure la necessità di spostarsi altrove.


Classifica città Indice della salute Sole 24 Ore
Per quanto riguarda Genova, preoccupano i dati relativi alla mortalità causata da tumori (morti ogni mille abitanti 2012-2016). Il capoluogo ligure è penultimo in classifica davanti alla sola Alessandria. Va meglio scorrendo la classifica finale, dove Genova si piazza 56esima, mentre è 52esima nella classifica per tasso di mortalità (standardizzato per diecimila abitanti).
Un'altra classifica riguarda i morti per infarto su mille abitanti nel periodo 2012-2016 e Genova si piazza all'ottantottesimo posto; un'altra l'aumento di speranza di vita (incremento dell'età attesa alla nascita 2002-2017) dove ci assestiamo al 35esimo posto. Siamo trentesimi invece per numero di medici di base ogni mille abitanti, diciassettesimi per recettività ospedaliera (dimissioni di residenti avvenute fuori regione in percentuale) e 78esimi per emigrazione ospedaliera (dimissioni di residenti avvenute fuori regione in percentuale).


Potrebbe interessarti: http://www.genovatoday.it/attualita/indice-salute-sole-24-ore.html
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lunedì 20 maggio 2019

Tac con radiazioni dimezzate grazie a un nuovo algoritmo: premiate due ingegnere italiane

Il loro protocollo potrà ridurre significativamente l'esposizione alle radiazioni, soprattutto per quei pazienti come i malati oncologici che sono costrette a ripetute analisi



Michela D'Antò e Federica Caracò 
ROMA. Tac con radiazioni dimezzata, grazie a due giovani ingegnere cliniche di Napoli che hanno superato la concorrenza di 162 progetti, elaborando un protocollo per ridurre del 40-60% l'esposizione  garantendo una buona qualità dell'immagine. Si tratta di un algoritmo che permetterà il collaudo di macchine di varie aziende e in diversi modelli in modo da poter effettuare le Tac a dosi ridotte.

Le due giovani ingegnere campane sono le vincitrici del Primo premio assoluto dell'Health technology challenge (Htc). Il premio è stato consegnato durante il XIX Congresso dell'Associazione nazionale degli ingegneri clinici (AIIC) che si è svolto a Catanzaro. Le due ingegnere di Napoli, Michela D'Antò, della Fondazione G. Pascale e Federica Caracò, dell'Università degli studi Federico II, hanno ottenuto il massimo punteggio della giuria tecnica e popolare con il progetto "Valutazione di un protocollo per la verifica delle funzionalità di un sistema di riduzione della dose installato su tomografi assiali computerizzati".

Si stima che in Italia su oltre 40 milioni di esami radiologici effettuati ogni anno, circa il 44% sia prescritto in modo inappropriato e non sia strettamente necessario. I malati oncologici sono i più esposti a queste radiazioni durante la fase della diagnosi e nei continui controlli successivi, nel corso delle cure e dopo.


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Frutta secca amica della vista: uno studio svela quale protegge gli occhi

Tra i benefici della frutta secca c'è anche quello di proteggere la retina. I risultati di uno studio. Frutta secca che passione. Da qua...