giovedì 4 giugno 2020

Covid: mai riusare le mascherine chirurgiche

L'Istituto Superiore di Sanità in un'audizione in parlamento avverte sul pericolo di utilizzare più volte questi dispositivi. Poi spiega: "Altamente improbabile il contagio dal cibo e dalle confezioni degli alimenti"

Le mascherine chirurgiche non sono riutilizzabili. La loro efficacia dura dalle due alle sei ore massimo a seconda dei casi. Non esistono allo stato attuali sistemi per igienizzarle e poterle indossare nuovamente. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, in audizione alla Commissione d’Inchiesta parlamentare sulle Eco Mafie, torna sulla questione del riutilizzo che in molti erroneamente fanno delle mascherine chirurgiche. Continuare a utilizzarle è però fondamentale. Una recente analisi di decine di studi sull’argomento ha confermato che bloccano la diffusione del coronavirus in oltre l’80% dei casi.

Mascherine chirurgiche: preferire quelle in tessuto lavabile che hanno un minore impatto sull’ambiente

Esistono, sempre secondo Brusaferro, altre mascherine lavabili che hanno la stessa efficacia e possono essere riutilizzate. Secondo il presidente dell’Iss dovrebbero essere queste a essere preferite per evitare l’impatto sui rifiuti e quindi sull’ambiente.

Mascherine chirurgiche: trovate tracce di virus per una settimana

Riutilizzare le mascherine chirurgiche potrebbe quindi essere pericoloso. Un recente studio ha dimostrato che il coronavirus può resistere su una mascherina usata fino a sette giorni. Attenzione, la ricerca è stata fatta in laboratorio, in condizioni protette, che sono diverse da quelle che viviamo tutti i giorni. Ad annunciarlo è stata Rosa Draisci, del Centro nazionale delle sostanze chimiche dell’Istituto Superiore di Sanità. “In studi di laboratorio, non nella realtà, nella parte interna della mascherina si rilevano parti di virus dopo 7 giorni – precisa l’esperta -. Si tratta di un’attività sperimentale fatta in laboratorio, con la deposizione sulla mascherina di soluzione contenente il virus”.
Nella realtà il coronavirus muore prima. I laboratori infatti sono “contesti molto protetti, non immediatamente assimilabili alla normalità”. Tutto è infatti messo al riparo dalla luce, dal sole e da altri fattori che influiscono sulla sopravvivenza del virus.
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mercoledì 3 giugno 2020

Un farmaco contro il Covid adesso è più vicino

È un anticorpo monoclonale progettato per impedire l'ingresso del virus nelle cellule umane e quindi utilizzabile anche in prevenzione. Somministrato la scorsa settimana a pazienti americani, potrebbe essere disponibile in breve tempo. E l'Oms riprende la sperimentazione sull'idrossiclorochina


Entro la fine di giugno potrebbe arrivare il primo farmaco al mondo capace di combattere il virus che causa il Covid-19. Si tratta di un medicinale sperimentale, denominato LY-CoV555, che è stato somministrato nei giorni scorsi a un gruppo di pazienti ospedalizzati nell'ambito del primo studio mai effettuato su un potenziale trattamento anticorpale contro il virus SARS-CoV-2. Tra i centri medici coinvolti, alcuni dei più importanti ospedali statunitensi: la NYU Grossman School of Medicine e il Cedars-Sinai a Los Angeles.

I risultati sono previsti in tempi molto stretti, entro la fine del mese, così come rapido (soltanto tre mesi) è stato l'iter che ha portato i ricercatori dell'azienda farmaceutica Lilly a sviluppare l'anticorpo. Quest'ultimo era stato identificato dal Centro di ricerca sui vaccini dell'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (Niaid), quello diretto da Anthony Fauci, in collaborazione con AbCellera, su un campione di sangue prelevato da uno dei primi pazienti americani guariti dal Covid-19.

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Coronavirus a Brescia, l’ex deputato Mario Sberna: «Io salvo grazie all’ossigeno tolto a un 80enne»


lunedì 1 giugno 2020

Zangrillo: «Clinicamente il coronavirus non esiste più». Locatelli: «Assoluto sconcerto per queste parole»

Lo ha detto il direttore terapia intensiva del San Raffaele di Milano dal punto di vista clinico del virus. Concorda il direttore della clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova

“Clinicamente il nuovo coronavirus non esiste più”. Così Alberto Zangrillo, direttore terapia intensiva del San Raffaele di Milano, a '1/2 ora in più'. “Circa un mese fa sentivamo epidemiologi temere a fine mese-inizio giugno una nuova ondata e chissà quanti posti di terapia intensiva da occupare. In realtà il virus dal punto di vista clinico non esiste più. Questo lo dice l'università Vita e Salute San Raffaele, lo dice uno studio del direttore dell'Istituto di virologia Clementi, lo dice il professor Silvestri della Emory University di Atlanta”.
Secondo il medico del San Raffaele, “i tamponi eseguiti negli ultimi 10 giorni mostrano una carica virale dal punto di vista quantitativo assolutamente infinitesimale rispetto a quelli eseguiti su pazienti di un mese/due mesi fa. Lo dico consapevole del dramma che hanno vissuto i pazienti che non ce l'hanno fatta - aggiunge Zangrillo - non si può continuare a portare l'attenzione, anche in modo ridicolo, dando la parola non ai clinici, non ai virologi veri, cioè a che si auto-proclamano professori: il virus dal punto di vista clinico non esiste più”. Lucia Annunziata, la conduttrice della trasmissione, ha replicato: “E' una frase molto forte quella che lei dice professore”. E il clinico di rimando: “La firmo”.
Locatelli: ”Assoluto sconcerto per le parole di Zangrillo”“Non posso che esprimere grande sorpresa e assoluto sconcerto per le dichiarazioni rese dal Professor Zangrillo con frasi quali il 'virus clinicamente non esiste più' e che 'Terrorizzare il Paese è qualcosa di cui qualcuno si deve prendere la responsabilità'”. Lo afferma il presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del comitato tecnico scientifico Franco Locatelli. “Basta guardare al numero di nuovi casi confermati ogni giorno per avere dimostrazione della persistente circolazione in Italia del virus”.
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sabato 30 maggio 2020

118, tamponi non sempre rilevano Sars-CoV2

Balzanelli, a Taranto 50% con polmonite Covid negativi 2 volte

I tamponi non sempre riescono a documentare la realtà. Dall'esperienza medica quotidiana emergono sempre più pazienti con polmonite diagnosticata clinicamente ma che risultano negativi a due tamponi successivi.  Come per esempio nella vicenda dell'uomo di 41 anni morto a Chiavari in Liguria il 27 aprile scorso per polmonite da Covid-19 non evidenziato dai test.
Numericamente ancor più evidenti i casi riportati dal presidente nazionale del Sis 118 Mario Balzanelli, a capo della Covid-19 Station del SET 118 di Taranto (dove confluiscono tutti i pazienti sospetti della provincia): "Circa 50 pazienti, precisamente 45 su 100 sono risultati negativi a due tamponi nonostante avessero la malattia", racconta, "quando li abbiamo presi in carico avevano la sintomatologia clinica e il quadro radiologico di polmonite interstizio-alveolare da Covid-19, diagnosticato con la Tac del torace che dava esattamente l'immagine 'a vetro smerigliato' del virus".

giovedì 28 maggio 2020

Coronavirus, polmoni “bruciati dal Covid”: trapiantato un ragazzo di 18 anni. Primo intervento del genere in Europa

Francesco era ricoverato in terapia intensiva dal 6 marzo. Il 30 aprile viene messo in lista, due settimane dopo il donatore. L'operazione è stato eseguita il 18 maggio dai medici del Policlinico di Milano sotto il coordinamento del Centro nazionale trapianti, e pochi giorni dopo replicata a Vienna

Due mesi attaccato al respiratore a soli 18 anni, con i polmoni ormai seriamente compromessi dal Covid-19. Poi il tentativo dei medici del Policlinico di Milano per salvare la vita di Francesco: un trapianto di polmoni, mai effettuato in Europa ma già tentato in Cina. L’intervento è andato a buon fine e ora il ragazzo sta affrontando la convalescenza.
Francesco comincia a star male il 2 marzo, con i sintomi del coronavirus: il 6 marzo viene ricoverato in terapia intensiva all’Ospedale San Raffaele. Due giorni dopo è già intubato, attaccato al respiratore, e dal 23 è collegato alla macchina Ecmo per la circolazione extracorporea. Ma i medici sono preoccupati per lo stato dei polmoni, aggrediti dal virus tanto da essere irrimediabilmente compromessi: confrontandosi con i colleghi del Policlinico, decidono di provare un intervento mai eseguito fino ad ora su un paziente Covid in Europa. Gli unici precedenti sono rari interventi eseguiti in Cina. I medici allertano il Centro Nazionale Trapianti, e il 30 aprile Francesco viene messo in in lista di attesa . Dopo due settimane, la chiamata: un donatore da fuori regione, negativo e compatibile.
L’intervento è stato eseguito il 18 maggio dai medici del Policlinico di Milano, sotto il coordinamento del Centro nazionale trapianti – che in una nota parla di “un successo che appartiene a tutto il Servizio sanitario nazionale” – insieme al Centro regionale trapianti e il Nord Italia transplant program. Il record europeo va però condiviso con Vienna, che quasi contemporaneamente ha effettuato un simile trapianto. Un’operazione particolarmente complessa, sia per le precauzioni raddoppiate, sia per le condizioni in cui si trovavano i polmoni sia per le condizioni degli organi del ragazzo, ormai “lignei estremamente pesanti e in alcune aree del tutto distrutti”, come ha spiegato Mario Nosotti, direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia toracica dell’Università Statale di Milano.
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martedì 26 maggio 2020

Coronavirus, polmoni a rischio per 6 mesi

Polmoni a rischio per almeno 6 mesi dopo essere guariti da Covid-19, mentre il 30% dei pazienti avrà problemi respiratori cronici. Secondo gli esperti, infatti, l'infezione potrebbe lasciare strascichi a lungo termine sulla funzionalità respiratoria e talvolta comprometterla in modo irreversibile, soprattutto nei pazienti usciti dalla terapia intensiva. E' il preoccupante scenario che arriva dal convegno digitale della Società italiana di pneumologia (Sip), durante il quale sono stati messi a confronto i primi dati di follow-up raccolti nel nostro Paese e dai medici cinesi con gli esiti di pazienti colpiti da Sars nel 2003.

Da questo confronto emerge che l'infezione polmonare da coronavirus può lasciare un'eredità cronica sulla funzionalità respiratoria: si stima che in media in un adulto possano servire da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che per alcuni però potrebbe non essere completo. Dopo la polmonite da Covid-19 potrebbero perciò essere frequenti alterazioni permanenti della funzione respiratoria, ma soprattutto segni diffusi di fibrosi polmonare: il tessuto respiratorio colpito dall'infezione perde le proprie caratteristiche e la propria struttura normale, diventando rigido e poco funzionale, comportando sintomi cronici e necessità, in alcuni pazienti, di ossigenoterapia domiciliare. La fibrosi polmonare potrebbe diventare perciò il pericolo di domani per molti sopravvissuti a Covid-19 e rendere necessario sperimentare nuovi approcci terapeutici come i trattamenti con cellule staminali mesenchimali.

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Coronavirus, in Italia 78 morti nelle ultime 24 ore

Covid 19. "Abbiamo isolato il virus, è meno forte". Svolta in laboratorio: ecco le prove

La rivelazione del presidente dei virologi, Caruso: la variante studiata dai miei ricercatori a Brescia è poco aggressiva. "Prima il morbo era una bomba, ora i tamponi sono appena positivi. E anche chi ha una carica virale forte, non ha sintomi"

Brescia, 26 maggio 2020 - Finalmente si può dire: il virus è diventato meno aggressivo in questo fine maggio italiano. Ci pensa il professore Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), a dare una svolta decisa, grazie soprattutto a una scoperta scientifica. "Sì, il nuovo Coronavirus sta perdendo forza", spiega il virologo, dopo che nel laboratorio di Microbiologia dell’Asst Spedali Civili a Brescia, da lui diretto, è stata isolata una variante di virus Sars-CoV-2 "estremamente meno potente, più ‘buona’".
"Mentre i ceppi virali che siamo stati abituati a vedere in questi mesi, che abbiamo isolato e sequenziato, sono bombe biologiche capaci di sterminare le cellule bersaglio in 2-3 giorni – spiega l’esperto –, questo per iniziare ad attaccarle ha bisogno minimo di 6 giorni": il doppio del tempo.
La notizia sarà oggetto di pubblicazione scientifica, ma Caruso vuole anticiparla "per lanciare un messaggio di speranza. Queste varianti virali più attenuate dovrebbero diventare il futuro della probabile evoluzione di Covid-19". Che il nuovo Coronavirus si stia indebolendo è sotto gli occhi di tutti, come dimostrano i bollettini quotidiani che riportano un numero di contagi progressivamente in calo, ma soprattutto le terapie intensive degli ospedali che via via si svuotano. "È tanto vero che sta perdendo forza – sottolinea Caruso, ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all’università degli Studi di Brescia – che ogni giorno vediamo tamponi naso-faringei positivi non più in modo forte, bensì debole". La prova molecolare di "infezioni molto leggere, quasi inapparenti. Si vede il virus in dosi molto, molto ridotte".
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Frutta secca amica della vista: uno studio svela quale protegge gli occhi

Tra i benefici della frutta secca c'è anche quello di proteggere la retina. I risultati di uno studio. Frutta secca che passione. Da qua...