Il 21 settembre la giornata mondiale dell'Alzheimer.
I temi sono l’impegno della ricerca sui test di diagnosi precoce e
predittivi per valutare l’efficacia delle cure ma anche della
prevenzione. Che appare più possibile di MARIAPAOLA SALMI
NEL mondo 44
milioni di persone sono ammalate di Alzheimer, cifre che dovrebbero
raddoppiare nel 2030 secondo le previsioni del Global Report 2014. Il
71% dei pazienti vivrà in paesi a basso e medio reddito. Predire il
rischio di ammalarsi si può. La ricerca ha reso disponibili numerosi
test, non ultimi quello degli odori, perché a quanto pare deficit
olfattivi sono i primi segnali del morbo; il test che spia la presenza
nella retina di sostanza amiloide, fino al prelievo di liquido spinale
per ricercare gli AB oligomeri, particelle amiloidee precipitate. Il
goal di ricercatori e clinici però è riuscire a capire se e come sia
possibile prevenire la malattia o quanto meno rallentarne la
progressione. Non a caso quest'anno l'ADI, Alzheimer's Disease
International, per celebrare la XXI Giornata mondiale Alzheimer 2014,
che cade il 21 settembre, ha puntato il dito sulla prevenzione con
l'interlocutorio messaggio "Can we reduce the risk?" (possiamo ridurre
il rischio?).
Fattori ambientali. La
demenza di Alzheimer è in parte di origine genetica e in parte dovuta a
fattori ambientali. Stando ad uno studio dell'università di Cambridge,
pubblicato di recente su Lancet, questa demenza sarebbe prevenibile
agendo su sette principali fattori di rischio: diabete, ipertensione,
obesità, sedentarietà, depressione, fumo, scarsa attività intellettuale.
Gli specialisti concordano su un punto: l'importanza dei diversi
fattori legati allo stile di vita che è possibile modificare per ridurre
il rischio. Agendo su di essi si potrebbero evitare nel giro di pochi
anni circa 9 milioni di casi e d'altra parte è noto come un caso di
demenza su tre sia riconducibile a cattive abitudini e a stili di vita
scorretti. Ruolo dell'alimentazione e dell'attività fisico-mentale sono
oggetto negli ultimi anni di innumerevoli studi e ricerche, al punto che
un team di esperti internazionali guidati da Neal Barnard della George
Washington School of Medicine, ha elaborato una serie di semplici linee
guida pubblicate su Neurobiology of Aging.
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