La scoperta dell’Istituto Zooprofilattico durante il controllo della selvaggina
Torino
Prima i cinghiali. Adesso i funghi. A tre anni dal caso della
selvaggina radioattiva in Valsesia, sono arrivati i primi risultati
dello studio effettuato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Dati che aprono nuovi interrogativi,
accendendo i riflettori anche su altre specie alimentari.
L’ente regionale ha infatti realizzato un campionamento mai riportato
in letteratura, analizzando 2369 cinghiali, 226 caprioli, 157 camosci,
215 cervi. E ha allargato la ricerca del cesio radioattivo anche ad
altri alimenti. Risultato? «La radioattività è anche nei funghi». È bene
precisare che «al momento si tratta di una ricerca esplorativa basata
su pochi campioni, ma i dati indicano la necessità di approfondire, non
solo nei funghi ma anche nei frutti di bosco», spiega la dottoressa
Maria Caramelli, direttrice dell’Istituto.
I controlli sono stati eseguiti nelle province di Vercelli e del Verbano
Cusio Ossola, nel comprensorio Valsesia e nella confinante Val Sessera,
in base a dove erano stati fatti i campionamenti ambientali dell’Arpa.
Le analisi sono state svolte a Vercelli, nella sede dell’Istituto
Zooprofilattico sotto la supervisione del dottor Pierluigi Cazzola e i
risultati parlano chiaro: «Il 5% dei cinghiali analizzati presenta un
livello di Cesio 137 superiore ai 600 becquerel (il sistema
internazionale di misurazione della radioattività) per chilo, ovvero il
limite tollerabile dall’uomo in caso di incidente nucleare, secondo
quanto previsto dal Regolamento Europeo del 2008. Sui funghi,
inizialmente abbiamo esaminato 68 campioni prelevati in modo non
controllato nella stessa zona dei cinghiali. Abbiamo riscontrato un
campione positivo e deciso quindi di realizzare ora una ricerca ad hoc,
che amplieremo anche ai frutti di bosco». Sono stati controllati anche
«campioni di latte e formaggio prodotti in zona, ma sono risultati tutti
negativi», assicura Caramelli.
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