giovedì 18 febbraio 2021

Ema raccomanda autorizzazione remdesivir: primo farmaco anti Covid

La Commissione europea intende prendere una decisione sull'autorizzazione condizionale all'immissione in commercio per il remdesivir la prossima settimana, consentendo la commercializzazione del prodotto nell'Ue 


Il comitato per i medicinali per uso umano dell'Ema, Agenzia europea del farmaco, ha raccomandato di concedere l'autorizzazione condizionata all'immissione in commercio  del remdesivir per il trattamento del Covid-19 negli adulti e adolescenti di età superiore a 12 anni con polmonite che richieda supporto per la respirazione. Remdesivir, farmaco antivirale già usato per l'Ebola, è il primo medicinale contro il Covid-19 a essere raccomandato per l'autorizzazione in Ue. I dati sul remdesivir sono stati valutati in un tempo eccezionalmente breve attraverso una procedura di revisione continua, un approccio utilizzato dall'Ema durante le emergenze di sanità pubblica per valutare i dati non appena disponibili. La Commissione europea, che è stata informata dall'Ema nel corso della valutazione, intende prendere una decisione sull'autorizzazione condizionale all'immissione in commercio per il remdesivir la prossima settimana, consentendo la commercializzazione del prodotto nell'Ue. Nel complesso, lo studio ha mostrato che i pazienti trattati con remdesivir si sono ripresi dopo circa 11 giorni, rispetto ai 15 giorni per i pazienti trattati con placebo. Questo effetto non è stato osservato nei pazienti con malattia da lieve a moderata: il tempo per il recupero è stato di 5 giorni sia per il gruppo remdesivir che per il gruppo placebo. Per i pazienti con malattia grave, che costituivano circa il 90% della popolazione dello studio, il tempo necessario per il recupero era di 12 giorni nel gruppo remdesivir e 18 giorni nel gruppo placebo. 

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mercoledì 17 febbraio 2021

Varianti Covid in Italia, dove sono? I vaccini possono fermarle?

Quella inglese sembra essere la più diffusa in Italia. È più contagiosa e forse più letale, ma i vaccini sono efficaci. Necessario aumentare le misure restrittive per frenare i contagi che aumentano rapidamente.

Che cosa sono le varianti?
Sono il codice genetico del SARS-CoV-2 che ha acquisito una o più mutazioni, che a loro volta sono le variazioni che cambiano le caratteristiche del virus stesso.

Quante e quali sono quelle diffuse in Italia?
Difficile dirlo, perché l’attività di sequenziamento che individua le varianti è appena stata implementata. Quelle sotto la lente (e quindi maggiormente monitorate) sono l’inglese, la sudafricana e la brasiliana. Un report da parte dell’Istituto Superiore di Sanità con campione rappresentativo della popolazione è stato fatto solo sulla variante inglese e ha stabilito che rappresenti il 17,8% di casi di positivi in Italia. Il monitoraggio era, però, il primo di una serie: basato su 3.984 casi, ha rilevato 495 infezioni da variante inglese con prevalenza regionale molto diversificata, con stime comprese tra 0% e 59%.

Dove sono diffuse le varianti nel nostro Paese?
La variante inglese è concentrata in alcuni focolai locali: soprattutto in Abruzzo (oltre il 50% di prevalenza), Lombardia (si stima rappresenti il 30% dei positivi), in Veneto (il 20% dei tamponi), in Puglia (il 15,5% dei casi), in Umbria e Molise, ma anche in altre Regioni con casi sporadici. I casi di variante brasiliana sono poco meno di venti, soprattutto in Umbria, e la variante sudafricana è stata riscontrata una volta in un viaggiatore di ritorno dal Sudafrica. Per ora si tratta di stime, finché l’attività di sequenziamento non sarà sistematica.

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Variante inglese, il virologo Clementi: “Non è più letale, ci sono più morti perché contagia di più”

Covid e contagio, gli errori che facciamo ancora senza accorgercene

Mascherina indossata con naso scoperto, confondere gli spazi aperti con posti sicuri, fidarsi dell’amico che “è stato attento”. Alcuni sbagli comuni che ci fanno sentire tranquilli quando non dovremmo.

In questo momento l’Italia si trova in una fase di stallo nella risalita dei contagi, ma con il ritorno in zona gialla della maggior parte delle regioni il rischio di nuovi assembramenti preoccupa gli esperti. È già successo in estate, quando il virus sembrava ormai lontano e comportamenti troppo disattenti hanno portato alla seconda ondata. Anche in autunno però, nonostante le limitazioni, Covid-19 ha continuato a infettare. Perché? Cosa facciamo di sbagliato senza accorgercene? Il Guardian ha raccolto alcuni suggerimenti.

Non “cosa posso fare” ma “cosa dovrei fare”

Il primo errore che in molti compiono è spostare l’attenzione da quello che è sicuro fare a quello che è possibile fare. Per esempio, si possono far venire in casa babysitter, addetti alle pulizie e venditori, oppure incontrarsi con parenti e amici, anche fare attività fisica in compagnia. Si tratta di necessità che la maggior parte dei governi ha considerato imprescindibili per la salute mentale ed economica dei propri cittadini. Tuttavia, non è detto che siano sicuri.

Al centro di questa discussione ci sono principalmente i giovani. Ragazzi e giovani adulti non riescono a evitare completamente la socialità nutrendo l’illusione che frequentarsi tra persone “non a rischio di malattia grave” possa preservare anche le loro famiglie. Se si vive in casa con genitori o nonni e si continua a frequentare gruppi di amici non si è mai al sicuro. Specie a causa del rischio concreto di un’incubazione asintomatica del virus nel “soggetto 1”.

Coronavirus, il bollettino di oggi 17 febbraio: 12.074 nuovi casi e 369 morti

Nella giornata di ieri erano stati registrati 10.386 nuovi casi e 336 morti

Oggi in Italia sono stati 12.074 i nuovi casi registrati, con 369 vittime. 

TUTTI I GRAFICI E LE MAPPE SULL'EPIDEMIA

VALLE D'AOSTA

Nelle ultime 24 ore sono stati rilevati 14 nuovi casi positivi in Valle d'Aosta (su 95 persone sottoposte a tampone). Non ci sono stati decessi. È quanto riportato nel bollettino diffuso dalla Regione Valle d'Aosta in base ai dati dell'Usl. I guariti sono nove. Gli attuali contagiati salgono a 131, 5 in più di ieri. I guariti sono 16. I ricoverati sono sempre otto, di cui due nel reparto di terapia intensiva.

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Coronavirus, Eurostat: nel 2020 in Italia fino a 50% di morti in più

Spagna, Belgio e Olanda i Paesi più colpiti dalla prima ondata 

L'Italia ha raggiunto i suoi livelli massimi in marzo (più 49,4%), aprile (41%) e novembre (49,5%) rispetto agli stessi periodi del 2016-19 

16 febbraio 2021 In Italia il tasso di mortalità è aumentato di quasi il 50% in primavera e a novembre 2020 rispetto agli stessi periodi del 2016-19. Lo ha reso noto oggi Eurostat in base ai dati raccolti sull'incremento della mortalità in Europa tra marzo e novembre dello scorso anno. L'Ue ha raggiunto un primo picco in aprile (più 25%), quando Spagna (79,4%), Belgio (73,9%) e Olanda (53,5%) sono risultati i Paesi più colpiti. L'Italia ha raggiunto i suoi livelli massimi in marzo (più 49,4%), aprile (41%) e novembre (49,5%). Nell'Ue tra marzo e novembre 2020 si sono registrati oltre 450 mila decessi in più. 

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Cosa sappiamo della nuova variante del coronavirus trovata anche a Napoli

In sigla B.1.525, è una nuova variante del Sars-Cov-2. Anche se è stata scoperta nel Regno Unito, in realtà è più diffusa in Nigeria ed è stata individuata anche in Italia. Fra le mutazioni la E484K, posseduta anche dalle varianti scoperte in Brasile e in Sudafrica. Quali sono i rischi attuali

Nel Regno Unito c’è una nuova variante del coronavirus Sars-Cov-2. Ed è la seconda che desta attenzione nel paese, dopo la più nota che chiamiamo comunemente a livello mediatico variante inglese, circolante anche in Italia e per alcuni aspetti preoccupante. Su quella odierna appena identificata, in sigla B.1.525, abbiamo meno informazioni e non possiamo dire se sia maggiormente trasmissibile o dannosa per l’organismo. Tuttavia sappiamo che contiene una mutazione di cui si è già parlato, E484K, comune anche alle varianti scoperte in Sudafrica e in Brasile. Nel Regno Unito si parla di 33 casi (ma probabilmente sono di più) e c’è qualche paziente anche in altri paesi, incluso un caso in Italia, a Napoli, di cui è appena arrivata notizia. Ecco perché è bene parlare di questa nuova variante e quali sono i rischi.

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Covid, in Campania la variante inglese è passata dal 7 al 20 per cento in due settimane


martedì 16 febbraio 2021

Da dove viene la pasta che mangiamo?

La pasta è uno dei simboli della cucina italiana. Amata nel mondo, osteggiata, a torto, in alcune diete, ci vede (magari senza sorpresa) sul podio per il consumo pro-capit. Nel 2019 ciascuno di noi ne ha mangiata in media oltre 23 kg e un quarto della produzione mondiale è italiano. Ma come si distingue una pasta davvero e totalmente italiana?

Se a livello legislativo le tutele ci sono,-con il Regolamento Europeo 2018/775, che stabilisce l’obbligo di indicare in etichetta il paese d’origine dell’ingrediente primario di un prodotto, e il Decreto Ministeriale italiano del 26 luglio 2017, che prevede ulteriore trasparenza nell’indicare l’origine di pasta, riso e derivati del pomodoro – dal lato pratico l’attenzione è rivolta ai metodi per autenticare l’origine del frumento utilizzato al fine di garantire il rispetto delle normative vigenti. E anche in questo caso la ricetta sembra essere tutta italiana.

Il team guidato da Annalisa de Girolamo, dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha presentato infatti uno studio, pubblicato su Foods, che prevede di applicare la tecnica della spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier (FT-NIR) per valutare l’autenticità della pasta prodotta con il 100% di grano duro italiano.

I ricercatori hanno analizzato 361 campioni di pasta di diverse marche commerciali, alcuni dei quali prodotti (secondo quanto riportato in etichetta) con grano solo italiano mentre altri erano composti da miscele di grano duro, coltivato quindi sia in Italia sia all’estero. L’obiettivo era autenticare la pasta di grano duro 100% italiano: questa tecnica è risultata estremamente efficace, con una percentuale di accuratezza nel distinguere l’origine del grano utilizzato del 94%.

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Frutta secca amica della vista: uno studio svela quale protegge gli occhi

Tra i benefici della frutta secca c'è anche quello di proteggere la retina. I risultati di uno studio. Frutta secca che passione. Da qua...