Quella inglese sembra essere la più diffusa in Italia. È più contagiosa e forse più letale, ma i vaccini sono efficaci. Necessario aumentare le misure restrittive per frenare i contagi che aumentano rapidamente.
Che cosa sono le varianti?
Sono il codice genetico del SARS-CoV-2 che ha acquisito una o più mutazioni, che a loro volta sono le variazioni che cambiano le caratteristiche del virus stesso.
Quante e quali sono quelle diffuse in Italia?
Difficile dirlo, perché l’attività di sequenziamento che individua le varianti è appena stata implementata. Quelle sotto la lente (e quindi maggiormente monitorate) sono l’inglese, la sudafricana e la brasiliana. Un report da parte dell’Istituto Superiore di Sanità con campione rappresentativo della popolazione è stato fatto solo sulla variante inglese e ha stabilito che rappresenti il 17,8% di casi di positivi in Italia. Il monitoraggio era, però, il primo di una serie: basato su 3.984 casi, ha rilevato 495 infezioni da variante inglese con prevalenza regionale molto diversificata, con stime comprese tra 0% e 59%.
Dove sono diffuse le varianti nel nostro Paese?
La variante inglese è concentrata in alcuni focolai locali: soprattutto in Abruzzo (oltre il 50% di prevalenza), Lombardia (si stima rappresenti il 30% dei positivi), in Veneto (il 20% dei tamponi), in Puglia (il 15,5% dei casi), in Umbria e Molise, ma anche in altre Regioni con casi sporadici. I casi di variante brasiliana sono poco meno di venti, soprattutto in Umbria, e la variante sudafricana è stata riscontrata una volta in un viaggiatore di ritorno dal Sudafrica. Per ora si tratta di stime, finché l’attività di sequenziamento non sarà sistematica.
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