Molti dei rimedi usati per curare il Coronavirus sono esauriti. Gli infettivologi: «Non possiamo fare altrimenti»
Gli ospedali sono a corto di farmaci contro il Coronavirus. E nasce il dilemma: a chi bisogna riservarli? «A chi rischia di progredire verso una forma grave di malattia», dice oggi a Repubblica Francesco Menichetti, infettivologo dell’università di Pisa. E questo criterio spesso corrisponde al profilo dei non vaccinati, visto che rischiano di infettarsi e morire: «A loro riserviamo almeno metà dei trattamenti», calcola Menichetti. «E non potremmo fare altrimenti» fa sapere invece Massimo Andreoni, che dirige l’infettivologia del Policlinico Tor Vergata a Roma. «A volte ci fa rabbia, ma di certo non discriminiamo nessuno». Per questo, sostiene Paolo Maggi, infettivologo dell’ospedale di Caserta e professore, «vale la regola che prevenire, con i vaccini, è meglio che curare. Arriverà l’ora in cui i farmaci diventeranno decisivi, come è avvenuto con la pandemia da Hiv, ma non ci siamo ancora. E stiamo spendendo una quantità enorme di risorse per curare una minoranza della popolazione che non vuole vaccinarsi per ragioni puramente ideologiche, irrazionali».