Per rispondere alla domanda il genetista italiano Giuseppe Novelli, direttore del Laboratorio di Genetica Medica del Policlinico Tor Vergata di Roma, sta conducendo uno studio internazionale in collaborazione con 200 laboratori mondiali coordinati dalla Rockefeller University di New York
Due persone entrano in contatto con un positivo al covid. Mangiano con lui, interagiscono in un ambiente chiuso, senza mascherina. Una di loro si contagia, finisce in terapia intensiva. L’altro, nonostante l’esposizione diretta e continuata, non contrae il virus. Perché accade? Cosa rende differenti i “suscettibili” dai “resistenti”? E soprattutto, come questa differenza può essere sfruttata per la lotta contro il coronavirus? Per rispondere alle domande il genetista italiano Giuseppe Novelli, direttore del Laboratorio di Genetica Medica del Policlinico Tor Vergata di Roma, sta conducendo uno studio internazionale in collaborazione con 200 laboratori mondiali coordinati dalla Rockefeller University di New York.
La risposta al covid è molto variegata, lo abbiamo visto. Ci sono gli asintomatici, chi riporta solo sintomi lievi, chi ha bisogno di ossigeno e chi finisce in terapia intensiva. Il virus è sempre lo stesso, i quadri clinici sono completamente differenti. Da cosa dipende? “A maggio dello scorso anno abbiamo provato a capire questo punto fondamentale della pandemia” dice ad Huffpost il professor Novelli, “Quando c’è un’infezione virale di queste dimensioni bisogna tenere conto di tre fattori: il patogeno, l’ospite e l’ambiente, ossia in che contesto si trova l’infezione con l’ospite. L’ospite siamo noi, con le nostre caratteristiche genetiche rispondiamo in maniera diversa a un’infezione”. Non vale solo per il covid. Circa un 10% di persone risulta naturalmente resistente all’Aids: non si infettano, perché hanno un difetto nel recettore CCR5, che permette al virus di entrare. È stato riscontrato anche per altre malattie, come ad esempio la malaria e la tubercolosi.
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